
Fotografia di due soldati tedeschi alla fine della Prima guerra mondiale. La didascalia, tratta dal libro “Eine ganze Welt gegen uns” (Berlino, 1934), recita: “Sie dürfen nicht nach hause! Die entente hielt die Kriegsgefangenen bis ins Jahr 1920 fest” (Non ti è permesso andare a casa! L’entente tenne in arresto i prigionieri di guerra fino al 1920).
“La Rosa Rossa” per Bertold Brecht
(“Ora è sparita anche la Rosa rossa, non si sa dov’è sepolta. Siccome ai poveri ha detto la verità i ricchi l’hanno spedita nell’aldilà”).
“Una delle massime intelligenze del socialismo mondiale” per Victor Serge…

Rosa Luxemburg
Rosa Luxemburg avrebbe compiuto quarantotto anni il 5 marzo 1919 (se si vuole credere che fosse nata nel 1871, e non nel 1870 come è indicato nel documento ufficiale di nascita; il 1871 era per “La Rosa Rossa” un simbolo, essendo l’anno della Comune di Parigi, e per lei quello era il suo anno di nascita, facendolo diventare ufficiale nei documenti universitari, con un tocco anche di narcisismo femminile).
Era terminata la guerra mondiale e a Rosa Luxemburg, che l’aveva sempre combattuta come pacifista, non le fu assegnato un Nobel o un premio. Invece, all’inizio del 1919, a Rosa Luxemburg, proprio nel pieno delle sue energie intellettuali, le spaccarono la testa. Fu uccisa brutalmente con il calcio di un fucile a cui si aggiunse con teutonico zelo un colpo di pistola alla testa. Poi il corpo della donna fu gettato in un canale di Berlino. Il corpo di Rosa Luxemburg fu ritrovato alcuni mesi dopo… Non erano stati i nazisti. Essi non esistevano ancora. I colpevoli erano i soldati di Gustav Noske, come il capitano Waldemar Pabst, che si erano sostituiti ai nobili e stanchi combattenti della Prima guerra mondiale come le forze armate della Repubblica di Weimar. Erano dei macellai, prefegurazioni diaboliche delle peggiori SS del Terzo Reich.
Rosa Luxemburg era stata una donna eccezionale, brillante. Una politica rivoluzionaria. Perché fu uccisa così atrocemente? Proprio lei, figura di una dolcezza incredibile! Come sarebbe cambiata la Germania e l’Europa se fosse sopravvissuta alla mattanza della guerra civile europea?
Ce lo chiediamo a cento anni dalla morte, ricordandola come una grande intellettuale. La comunista Rosa Luxemburg amava Tolstoj, ma non amava Lenin. Fu però una vera rivoluzionaria. “Una donna comme il faut”.
Proponiamo un ricordo dello storico Roberto Coaloa, durante la commemorazione del centenario della morte di Rosa Luxemburg tenuta al “Club Dumas” il 15 gennaio 2019. Si propone anche una scelta bibliografia. Le immagini sono state realizzate nella soirée dedicata alla vita e all’opera di Rosa Luxemburg.
ROSA LUXEMBURG A CENTO ANNI DALLA MORTE
Di Roberto Coaloa

Rosa Luxemburg parla alla Conferenza femminile dell’Internazionale socialista, Stoccarda, 1907
Golo Mann, il grande storico tedesco, nato il 27 marzo 1909 a Monaco da Thomas Mann e Katja Pringsheim, la ricorda con poche parole, ma con affetto, nella sua grande opera Deutsche Geschichte das 19. und 20. Jahrhunderts.
A proposito del periodo di Friedrich Ebert, Golo Mann, descrive Berlino come la città più radicale, dove si parlava più vivacemente di una «seconda rivoluzione». L’estrema sinistra riteneva che la rivoluzione dovesse continuare, e, come l’esempio russo insegnava, poteva esser continuata, fino al comunismo. Come Lenin veniva dopo Aleksandr Fëdorovic Kerenskij, così Karl Liebknecht veniva dopo Friedrich Ebert.
Per Mann in questo contesto Rosa Luxemburg era una teorica raffinata, sensibile e amara.

Rosa Luxemburg.
Alla fine del 1917, Rosa Luxemburg approva entusiasticamente l’iniziativa rivoluzionaria dei bolscevichi, come prologo di una possibile rivoluzione mondiale, e ne apprezza il “volontarismo”, come aveva fatto Gramsci nel famoso e sorprendente articolo: “La rivoluzione contro il Capitale” (con la c maiuscola), apparso su “L’Avanti!” poche settimane dopo l’assalto al Palazzo d’Inverno. Tuttavia, in una serie di atti compiuti dal governo bolscevico (lo scioglimento con la forza dell’Assemblea costituente nel novembre 1917, l’abolizione della libertà di stampa, l’esautoramento dei Soviet, che fino a quel momento avevano canalizzato la partecipazione attiva e consapevole delle masse, l’istituzione della polizia segreta), Rosa “La Rossa” scorge e denuncia i tratti embrionali di un nuovo Leviatano, i cui germi stavano nella concezione leninista, elitaria e autoritaria, del partito. Dal suo punto di vista, la “dittatura del proletariato” non può concretizzarsi nella “dittatura di un partito o di una cricca”, ma come “dittatura della ‘classe’, cioè nella più larga pubblicità, con la più attiva e libera partecipazione delle masse popolari in una democrazia senza limiti” e, pertanto, occorre non abolire, ma estendere le libertà “formali” di stampa e di associazione, tanto più nella società socialista, perché “la libertà riservata ai partigiani del governo, ai soli membri di un unico partito – siano pure numerosi quanto si vuole – non è libertà, la libertà è sempre soltanto libertà di chi pensa diversamente”. Va da sé che la “fede” nel socialismo, con il suo portato di profetismo e messianismo, poteva inficiare l’oggettività e anche la coerenza logica delle analisi pur sempre stringenti di Rosa Luxemburg.
Ad esempio, negli stessi anni, toccava a Max Weber dimostrare come fosse moralistica e infondata la denuncia socialista del carattere “anarchico” del modo di produzione capitalistico, mostrando come esso scaturisse dall’etica economica delle religioni e dalla piena emancipazione del calcolo economico dall’utile soggettivo e individuale. Così come la morte prematura e violenta impedì a Rosa Luxemburg di chiarire come la necessità, mai negata, di un partito come avanguardia e testa del proletariato prima, durante e dopo la rivoluzione, potesse scongiurare che questo partito non si comportasse come organo di potere. È sempre questa fede, che traeva linfa dalla fiducia per un’umanità rigenerata, che, alla vigilia della prima guerra mondiale, la renderà immune dalle sirene della Kriegsideologie, dai fervori bellicisti e dal gesto “opportunista” più clamoroso della socialdemocrazia tedesca, che, nell’agosto 1914, approva i crediti di guerra in Parlamento in nome dell’unità nazionale. Rosa Luxemburg resterà pacifista e internazionalista, mentre si sfalda la Seconda Internazionale, e, col protrarsi del conflitto, comincerà a vedere nelle conseguenze catastrofiche della guerra l’occasione di una crisi risolutiva, del punto di rottura dell’ordine sociale capitalistico, attestandosi così sulle posizioni radicali, che, con Karl Liebknecht, l’unico deputato socialdemocratico che non si era allineato a quel drammatico voto, la porteranno a fondare la “Lega di Spartaco” e, poi, il Partito comunista tedesco.
Se, dopo il 15 gennaio 1919, l’azione e la voce carismatica di Rosa Luxemburg avessero risuonato anche nella Repubblica di Weimar, non sappiamo come ella avrebbe sviluppato la sua critica al sistema sovietico, quale ruolo avrebbe assunto nel filone che Maurice Merleau-Ponty chiamerà “marxismo occidentale” e, soprattutto, come avrebbe inciso nella dinamica dei rapporti politici e parlamentari tra comunisti e socialdemocratici, considerato che proprio il suo assassinio e quello di Karl Liebknecht apriranno un fossato permanente e una ferita non più rimarginata tra i due partiti, che agevolerà l’ascesa elettorale e le possibilità di manovra politica dei nazisti, a partire dagli anni trenta. Quel che possiamo oggi raccogliere ed estrapolare dalle teorie, dai discorsi, dalle lettere, che hanno ispirato la militanza appassionata che ha fagocitato quasi tutta la sua vita tragicamente spezzata sono due parole chiave, le impronte di un pensiero combattivo e di una sensibilità politica in continua evoluzione: democrazia e compassione.
La sua idea di un partito che non inquadra e dirige le masse, ma ne incoraggia le lotte spontanee e ne valorizza la creatività, è solidale con il nesso indissolubile, ai suoi occhi, di socialismo e democrazia. La democrazia “borghese” con i suoi istituti e con le sue forme politiche è necessaria per Rosa Luxemburg ancora di più al movimento operaio verso il traguardo del socialismo, ma anche alla costruzione della società socialista stessa. Indispensabile per far avanzare i diritti e gli interessi delle classi lavoratrici nella società capitalistica, ma anche per trasformare in senso socialista la società, considerato che il capitalismo pone dei limiti alla democrazia e all’esercizio delle libertà democratiche. Rosa Luxemburg puntava insomma a tenere insieme ciò che altre correnti del marxismo separavano e contrapponevano: democrazia formale e democrazia reale, democrazia borghese e democrazia proletaria.

E quando i nodi pratici e non solo teorici di questa distinzione vennero al pettine con la rivoluzione bolscevica, la Luxemburg, come si è visto con
La rivoluzione russa scritta nell’autunno del 1918, si oppose all’idea di Lenin e Trockij di realizzare la seconda mediante la “dittatura” del partito comunista come rappresentante dei lavoratori o anche solo dei soviet e in opposizione e alternativa all’“astrattezza” della seconda. Per la rivoluzionaria polacca era giusto pensare a un sistema istituzionale misto dove le istituzioni della democrazia (parlamento, suffragio universale, libertà di espressione) potessero coesistere con i consigli degli operai e dei soldati. Un’idea che tra l’altro convergeva con le posizioni anche della frazione dei socialdemocratici indipendenti dell’USPD come Rudolf Hilferding et Karl Kautsky e che si è affacciata anche nella tormentata vicenda dei Paesi del “socialismo reale” alla ricerca di un “socialismo dal volto umano”. Quel che rimane rilevante di questa impostazione di Rosa Luxemburg, al di là delle stesse oscillazioni che ella ebbe dal novembre 1918, è il fatto di innestare, valorizzandoli, nella prospettiva marxista, gli aspetti “formali” della democrazia e, combinando strutture di base e strutture rappresentative, lo sforzo di concepire forme istituzionali capaci di estendere la democrazia, oltre i limiti posti dalle diseguaglianze concrete e dalle sperequazioni generate dal sistema capitalistico. Questo sforzo non è lontano da quello compiuto, più di recente, da filosofi e scienziati politici come Robert Dahl, che si è posto il problema della ineguaglianza delle risorse d’influenza politica nelle democrazie pluraliste, o dalle carte costituzionali più avanzate come quella repubblicana italiana, che al secondo comma dell’articolo 3, assegna alla Repubblica “il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”.

Ma c’è una Rosa Luxemburg che, quando esce dalle categorie rigide della concezione materialistica della storia, soprattutto nella corrispondenza, si avventura nel campo delle emozioni, della loro fecondità esistenziale e politica, e, in una lettera, tra le più note, scritta dal carcere nel dicembre 1917 e destinata a Sonja Liebkenecht, ne incontra una particolarmente rivelativa: l’emozione della compassione. In questa lettera, che Karl Kraus pubblica nella rivista Fackel nel luglio 1920, auspicando che sia ospitata nelle antologie scolastiche per il suo pregio letterario, la Luxemburg innanzitutto, per contrasto all’inquietudine che vive l’amica, si scopre straordinariamente “calma e serena”, nonostante le condizioni di dura segregazione e desolazione in carcere. Confessa all’amica: “Me ne sto qui distesa, sola, in silenzio, avvolta in queste molteplici e nere lenzuola dell’oscurità, della noia, della prigionia invernale – e intanto il mio cuore pulsa di una gioia interiore incomprensibile e sconosciuta, come se andassi camminando nel sole radioso su un prato fiorito. E nel buio sorrido alla vita, quasi fossi a conoscenza di un qualche segreto incanto in grado di sbugiardare ogni cosa triste e malvagia e volgerla in splendore e felicità… Credo che il segreto altro non sia che la vita stessa” e aggiunge, in uno slancio di solidarietà amicale: “Quanto mi piacerebbe potervi dare la chiave di questo incanto, perché vediate sempre e in ogni situazione quel che nella vita è bello e gioioso… vorrei soltanto donarvi la mia inesauribile letizia”.
E più avanti, Rosa racconta del dolore che le ha provocato assistere a una scena: due bufali usati come animali da soma per trasportare carichi enormi di giubbe e altro materiale di guerra, così brutalmente percossi da un soldato, da suscitare la compassione della guardiana e, poi, la sua nel vedere uno dei due bufali sanguinare e assumere “un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo”, tanto da farle sospirare: “Oh mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia”. Nell’equiparare la propria condizione a quella dell’animale, pur così diversa, Rosa Luxemburg muove dalla valutazione della comune vulnerabilità al dolore, alla fame, alla malattia e ad altre forme di sofferenza (la sofferenza del bufalo sottratto alle sue praterie rumene, come bottino di guerra, diventa l’epitome di tutte le sofferenze umane e non umane provocate dalla guerra, come dimostra la conclusione della lettera), che sta sempre alla base del sentimento di compassione, che, a differenza dell’empatia, che consiste nel sentire o entrare in risonanza con ciò che sente un’altra persona particolare, rinvia a una morale naturale e universale, indipendente dalle culture e dalle epoche storiche. La Luxemburg sembra intuire la forza etica e umanizzante che può avere la capacità di compassione, quando – come si vede nelle ultime scene del film che le ha dedicato Margarethe von Trotta nel 1986 – dettando proprio a Sonja il suo editoriale per il giornale di partito, nei giorni concitati dell’insurrezione berlinese, dice sorprendentemente: “L’uomo affrettato da un’azione importante, che, negligentemente, calpesta un miserabile verme, commette un crimine”.
Pochi cenni, ma significativi, dove il concetto di socialismo sembra allargarsi a quello di una socialità che trova il suo fondamento nella capacità di compatire l’altro e nello spirito attivo e cooperativo che la compassione induce. Troviamo così i prodromi di una riflessione sul significato morale e cognitivo, sociale e politico, della compassione, che coinvolgerà molti esponenti della scena filosofica contemporanea, da Lévinas a Nussbaum, arrivando fino ai giorni nostri. D’altra parte, la preoccupazione di Rosa Luxemburg di preservare le libertà democratiche che l’autoritarismo bolscevico russo annullava, non conteneva forse la preoccupazione di creare le condizioni istituzionali e giuridiche che promuovessero le capacità di convivenza disinteressata e affettiva dei singoli individui e lo sradicamento della violenza permeante la struttura di classe della società capitalistica che la Luxemburg vedeva riproporsi drammaticamente, in forme nuove, nel socialismo realizzato dei bolscevichi? Se è così, suonano allora pertinenti le parole dell’epitaffio che le dedicò Bertolt Brecht, dopo il ritrovamento del suo corpo e la sepoltura: “Qui giace sepolta/ Rosa Luxemburg/ Un’ebrea polacca/ Che combatté in difesa dei lavoratori tedeschi,/ Uccisa/ Dagli oppressori tedeschi. Oppressi,/ Seppellite la vostra discordia!” (Poesie e canzoni, Einaudi, Torino 1981, p. 182)
Prima del 15 gennaio 1919, Rosa Luxemburg pensava che Berlino potesse nasconderla. L’anno era appena iniziato e la rivoluzionaria marxista insieme al compagno di lotte Karl Liebknecht era riuscita a trasformare un’ondata di scioperi e proteste in una rivoluzione, la Spartakusaufstand, Rivolta spartachista. Ma quando il governo socialdemocratico di Friedrich Ebert diede ordine ai Freikorps di sedare i rivoltosi, non ci fu riparo o nascondiglio sicuro. Fu una soffiata a portare le milizie paramilitari di orientamento reazionario nell’appartamento sulla Mannheimer Strasse dove si erano rifugiati Rosa e Karl. Li condussero nel lussuoso Hotel Eden al cospetto del capitano Waldemar Pabst.
Pabst aveva sentito Rosa Luxemburg arringare ed era convinto che metterla a tacere avrebbe distrutto la più grande arma dei rivoluzionari. Perciò aveva già messo a punto uno squadrone della morte.
“Ella fu – e resta per noi – un’aquila. E non solo i comunisti in tutto il mondo onoreranno la sua memoria, ma la sua biografia e la sua opera completa serviranno come utili manuali per formare molte generazioni di comunisti in tutto il mondo”, scrisse il leader della Rivoluzione russa Vladimir Lenin. Parole preveggenti: a cento anni da quella morte brutale, Rosa Luxemburg è tuttora riconosciuta come una delle menti più brillanti dell’ideologia marxista.
E dire che i rapporti tra Rosa Luxemburg e Lenin non erano stati dei migliori: la rivoluzionaria non credeva nell’idea di imporre “l’emancipazione” del proletariato dall’alto o dell’avanguardia del partito che guida le masse verso la Rivoluzione. E soprattutto aveva subito intuito che la strada intrapresa dai bolscevichi nel 1917 portava in sé il germe di pericolose involuzioni dittatoriali, benché avesse fatto della Rivoluzione il suo sogno e obiettivo.
La sua prima Rivoluzione era stata contro le circostanze. Era nata ebrea, donna e zoppa a Zamosc, nella Polonia controllata dall’Impero russo. Ma non lasciò che fosse questo a definirla. Iscritta al Proletariat polacco a 15 anni, volò in Svizzera prima di stabilirsi nel 1898 a Berlino per essere – credeva – al centro della lotta comunista.
Quando scoppiò la Prima guerra mondiale, dopo anni di militanza nel Partito socialdemocratico, si schierò sul fronte pacifista e insieme a Liebknecht creò il Gruppo Internazionale, divenuto poi Lega Spartachista e infine nucleo del Partito Comunista tedesco.

Was will Spartakus?
Nel 1916 fu arrestata durante uno sciopero e condannata a due anni di prigione, ma continuava a scrivere e a incitare anche da dietro le sbarre. In una lettera dal carcere scrisse: “Restare un essere umano è la cosa più importante di tutte… Restare un essere umano, cioè gettare, se necessario, gioiosamente tutta la propria vita sulla grande bilancia del destino, ma allo stesso tempo rallegrarsi per ogni giornata di sole, per ogni bella nuvola… Il mondo è così bello malgrado tutti gli orrori e sarebbe ancora più bello se non vi fossero sulla terra dei vigliacchi e dei codardi”.
E ancora nel saggio La Rivoluzione Russa, molto critico nei confronti di Lenin e dei bolscevichi (tanto da essere pubblicato nella Germania Est solo nel 1974): “La libertà solo per i sostenitori del governo, solo per i membri di un partito – per quanto numerosi possano essere – non è libertà. La libertà è sempre libertà di chi pensa diversamente”
Fu rilasciata nel 1918. Ci erano voluti il crollo della monarchia e la sconfitta in una guerra orribile, ma a 55 anni dalla sua creazione l’Spd era finalmente salita al potere e non voleva che niente o nessuno glielo togliessero. Perciò quando nel gennaio 1919 Rosa Luxemburg e Karl Liebkneckt sfruttarono il caos seguito all’umiliazione tedesca per dare slancio alla seconda ondata della Rivoluzione berlinese, Ebert diede mano libera ai Freikorps perché sopprimessero le manifestazioni.
Chissà che cosa sarebbe successo se Rosa Luxemburg fosse sopravvissuta. Forse la storia avrebbe preso una piega diversa: forse l’Europa non avrebbe conosciuto il fascismo o il comunismo non sarebbe sfociato nella dittatura.
Victor Serge, il 10 gennaio 1923, ricordando la sua atroce morte, osservò: “Nel gennaio del 1919 la rivoluzione russa, pur trovandosi in pericolo mortale, ha saputo affrontare una reazione all’apice della sua forza espansiva e creatrice. L’Ungheria si incamminava verso il regime dei soviet. La marea rivoluzionaria cresceva in Italia. Negli Stati vittoriosi la smobilitazione non era stata ancora effettuata; i lavoratori in armi tornavano dalle trincee con la loro formidabile collera mal celata; la borghesia delle retrovie, impaurita e vile, indietreggiava dovunque di fronte a loro. La Germania operaia voleva realizzare il suo programma di socializzazione e seguire il grande esempio russo. Disponeva ancora di quattro teste di primo piano: Franz Mehring, erudito e intrepido pensatore, anima del gruppo Spartakus; Leo Tychko (Jogiches), il migliore degli organizzatori, il più abile dei cospiratori; Karl e Rosa. La Germania operaia poteva vincere”.
“La controrivoluzione borghese e socialista ha tagliato tre di quelle teste e il vecchio Franz Mehring è morto in quell’improvviso crepuscolo di sconfitta, buio e opprimente. La socialdemocrazia sapeva bene che una classe decapitata è vinta per metà. I suoi tagliagole hanno portato a termine l’opera di demoralizzazione iniziata con il tradimento. Se, invece di agire così, essa avesse assolto il suo compito socialista più elementare, quale avvenire si sarebbe aperto per la classe operaia di tutta l’Europa – dopo un’aspra lotta, certo – , un avvenire che i tempi cupi di oggi possono soltanto ritardare, differire. Pensiamoci, nel giorno di Karl Liebknecht e di Rosa Luxemburg. Ricordiamoci di che cosa è capace il nemico. Il delitto del 15 gennaio 1919 racchiude un grande insegnamento storico” (Germania 1923: la mancata rivoluzione, Graphos, Genova 2003, pp. 226-227).